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Il doppio standard morale


Chi detiene il potere tende a convincersi di avere un controllo sugli esiti degli eventi che va ben oltre il proprio reale ambito di possibilità.

Continua a balzarci di fronte agli occhi quanto le persone in posizione di potere, si lascino andare a comportamenti apparentemente incomprensibili e contrari ai valori alle quali tali persone si rifanno nella loro vita pubblica. E’ questo anche il caso di Mrs. Robinson, membro del parlamento Nordirlandese e moglie del premier, la quale è stata scoperta avere una storia con un ragazzo ventunenne, da lei aiutato economicamente e politicamente ad aprire un bar. (https://en.wikipedia.org/wiki/Iris_Robinson_scandal)

La signora sostiene violentemente l’omofobia dichiarandola “un abominio che le fa venire la nausea”, è una fervente religiosa conservatrice ed allo stesso tempo si trova a frequentare un giovane ragazzo, tradendo il marito. Ci si può chiedere come possa coesistere una tale apparente incoerenza, evidente anche in recentissimi fatti nei quali sono stati coinvolti noti politici Italiani. La signora sembra infatti essere la “mami” Irlandese… Un criterio per leggere tali questioni ci viene offerto già da una ricerca ormai classica della psicologia (Haney, Banks e Zimbardo 1973) che ha evidenziato quanto le persone investite di un grosso potere tendano a compiere con una certa facilità comportamenti amorali. Persone pacifiche si trovano, se investiti da una autorità che legittima, a compiere atti violenti e discutibili su persone in posizione svantaggiata. L’accesso agli strumenti di potere accresce la possibilità che si faccia ricorso al potere per ottenerne vantaggi con ciò ampliando l’autostima e sviluppando un alto concetto di sé. Il problema nasce quando il detentore o la detentrice di potere sviluppano una considerazione esagerata di se stessi, e quando l’autoesaltazione conduce a sentirsi esenti dai comuni canoni morali. Più recentemente uno studio sperimentale condotto da psicologi della Stanford Graduate School of Business, della London Business School e della Northwestern University, che pubblicano i loro risultati sulla rivista "Psychological Science", evidenzia come chi detiene il potere sia convinto di potersi permettere scelte azzardate perché si sente estraneo alla logica del giudizio e del rendere conto, dunque chi detiene il potere tende a sottostimare regolarmente i costi in tempo, denaro, mezzi e vite umane che sono necessari per raggiungere un certo obiettivo.

Per simulare l'esperienza del potere i ricercatori hanno allestito una serie di esperimenti in cui ai partecipanti venivano attribuite differenti posizioni di potere. Ad alcuni era assegnato il ruolo di primo ministro, ad altri quello di funzionario. A tutti venivano proposte situazioni che ponevano dilemmi morali, dalla violazione delle norme sul traffico, alla dichiarazione dei redditi, fino alla restituzione di una bici rubata e alla compilazione di note spese. In un'altra serie di esperimenti veniva poi esaminato il grado di accettazione delle proprie trasgressioni morali rispetto a quelle commesse da altri. In tutti i casi quelli che avevano ruoli di potere più elevato hanno mostrato un'ipocrisia significativamente maggiore.

Il potere dunque sembra agevolare la creazione di un doppio standard morale in chi lo detiene, e questo tanto più quanto si sente pienamente legittimato a gestirlo. I ricercatori hanno tentato di determinare sperimentalmente se il potere stimoli l'ipocrisia, intesa come tendenza a mantenere standard elevati per gli altri, ma praticando comportamenti dubbi. "La ricerca è particolarmente rilevante considerati i grandi scandali del 2009, in cui i comportamenti privati spesso contraddicevano le affermazioni pubbliche di alcuni uomini di potere", ha osservato un ricercatore. Dunque potere e influenza rischiano di causare un forte scollegamento fra giudizi in pubblico e comportamento privato, con la conseguenza di giudizi più severi sugli altri e più benevoli nei confronti delle proprie azioni." L'ipocrisia morale é più marcata nei soggetti che sono e si sentono legittimamente al potere.

Oltre a ciò il ricoprire ruoli di potere favorisce, in persone con una attitudine alla semplificazione emozionale degli eventi, un funzionamento mentale rigido ed invariante quanto piuttosto, come ci si potrebbe augurare, flessibile ed orientato al dubbio. La deputata, afferma di aver tentato il suicidio in seguito alla scoperta del suo tradimento e con ciò ci propone di riflettere su alcune questioni. Attraverso il volersi giustificare facendo appello ad un momento di depressione, aderisce al senso comune per il quale i disagi mentali sarebbero come degli oggetti esterni che ci aggrediscono e si impossessano di noi ma non ci appartengono, non ci riguardano. Si cerca di far leva su un linguaggio condiviso per il quale viene dato per scontato che gli individui non sono contraddittori, con ciò condividendo il timore di molti ad esprimere pensieri ed emozioni che non collimano con le aspettative sociali. Sembra così che l’ipocrisia morale non permetta di leggere l’esperienza vissuta, il tradimento, come conseguenza di un fallimento del continuo presentarsi al mondo come ineccepibile a tutti i costi. Ciò forse avrebbe potuto permettere un atteggiamento maggiormente benevolo per le proprie azioni. Chi ha visto le foto del giovane amante e del marito, ha forse notato la grandissima somiglianza dei due uomini, cosa che a me ha fatto tenerezza… ma pare che la logica del nascondere e del negare abbia più successo di quella dell’autenticità.







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