Consultazione Partecipata - Dina Vallino
A cura di Giovanna Maggioni
Con questo termine Dina Vallino ha voluto indicare un percorso di consultazione psicoanalitica, rivolto a genitori e figli in età evolutiva. E’ un lavoro che non esclude la psicoanalisi individuale del bambino, ma la amplia, perchè coinvolge i genitori nella responsabilità della cura dei figli, prima di qualsiasi percorso clinico. E’ un tipo di intervento che esplora le problematiche che emergono in consultazione, per come si presentano nell’hic et nunc della seduta, rimandando ad un momento successivo progetti di approfondimento a più lungo raggio. Il setting prevede alcuni incontri articolati nel modo seguente: 1 colloquio con i genitori, 1 seduta di entrambi i genitori con il figlio/a, 1 seduta della madre con il figlio/a, una seduta del padre con il figlio/a, 1 colloquio con i genitori in corso d’opera, una seduta di restituzione con il figlio/a. Sebbene tale modalità di consultazione si sia rivelata utile anche in adolescenza, tuttavia è stata prevalentemente proposta a genitori, i cui figli avevano un’età compresa tra la prima infanzia e la preadolescenza ( 0- 12 anni). E’ richiesta al terapeuta una formazione psicoanalitica al lavoro con gli adulti, con i bambini e con gli adolescenti, che preveda una personale esperienza di Infant-Observation.
La Consultazione partecipata è nata, infatti, da un lungo lavoro di ricerca che Dina Vallino ha svolto nel campo dell’Infant-Observation, a partire dagli anni 80, come una estensione dell’Infant- Observation stessa. La pratica dell’Infant- Observation, è una esperienza formativa fondante la consuetudine nell’osservatore di stare con i genitori e il loro bambino, tutti insieme, ed è importante per affrontare l’ignoto della famiglia, in quanto aiuta ad avere congetture semplificanti la complessità. Questo lavoro di ricerca permette di conoscere i genitori sul campo (nella loro relazione con il bambino) e il bambino sul campo (nella sua relazione coi genitori al variare della sua età) e insegna a cogliere l’atmosfera emotiva in una famiglia. Nel primo colloquio di consultazione col terapeuta, generalmente i genitori espongono spontaneamente le ragioni della loro richiesta d’aiuto, cioè il disagio del figlio e le difficoltà che incontrano nel relazionarsi a lui. Talvolta è la prima occasione che i genitori hanno di chiedere aiuto, in altri casi invece è già stato compiuto un percorso psicodiagnostico o terapeutico e i genitori vorrebbero essere aiutati a comprendere meglio il lavoro svolto, o iniziare una terapia. L’atteggiamento mentale del terapeuta in questo primo incontro, è volto principalmente a facilitare la comunicazione dei genitori intorno al disagio del figlio, sospendendo temporaneamente, per quanto possibile, ogni “pregiudizio di valutazione ”. Il terapeuta deve accogliere l’emotività dei genitori, che si svela nel racconto di semplici episodi della vita quotidiana, incoraggiando domande e osservazioni, cercando sì di intercettare la sofferenza nascosta dietro i sintomi, ma astenendosi da premature ipotesi diagnostiche e da interventi intrusivi o troppo saturi. Ciò che è importante nel primo colloquio è permettere ai genitori di vivere un sentimento di minore solitudine rispetto al loro problema. E’ proprio per favorire la speranza di una possibile condivisione che il terapeuta propone ai genitori il progetto della consultazione partecipata e quindi le sedute congiunte con il figlio. Il terapeuta può invitare i genitori, se lo desiderano, a scegliere con il figlio/a documenti familiari ( foto, disegni, oggetti particolarmente significativi) da portare all’incontro successivo. E’ anche importante informarsi dai genitori sui giochi preferiti dal figlio, per potere, per quanto è possibile, predisporre adeguatamente la stanza per la seduta familiare. Le sedute congiunte naturalmente differiscono tra loro a seconda del tipo di psicopatologia e dell’età: é possibile comunque individuare un minimo comune denominatore. Il terapeuta, dopo aver dato alcune spiegazioni su ciò che si può fare insieme nella stanza, e cioè giocare, disegnare raccontare piccole storie con mamma e papà, si lascerà permeare dall’atmosfera emotiva dell’incontro, esercitando per quanto possibile la sua capacità negativa. E’ opportuno astenersi dal parlare con i genitori “del figlio” in sua presenza, incoraggiando invece per quanto possibile l’interazione con lui, attraverso semplici commenti e domande che permettano di sviluppare il gioco, il racconto il disegno. Una possibilità di avviare la seduta potrebbe essere per esempio quella di commentare insieme i documenti affettivi, ricostruendo momenti della storia familiare: nasce così una prima narrazione condivisa. Osservare, e giocare insieme a genitori e figli ci permette di intercettare il fraintendimento inconscio, cioè il disturbo della comunicazione familiare. Il fraintendimento deriva da un’attribuzione da parte dei genitori al figlio di qualcosa che non gli appartiene ed è pertanto un concetto strettamente collegato a quello di identificazione proiettiva patologica. Attraverso le sedute congiunte, il disagio del figlio trova una nuova modalità per essere raccontato e rappresentato davanti ai genitori (ad esempio un bambino con angosce persecutorie ha raccontato la storia di un terribile formicone che distruggeva tutto senza lasciare scampo). Lo sviluppo di un nuovo linguaggio, quello delle rappresentazioni condivise in seduta, permette di dare ai sintomi nuovi significati e dunque di introdurre una novità nel funzionamento del pensiero gruppale.
Nel colloquio con i soli genitori il terapeuta può commentare ciò che è avvenuto nella stanza con il figlio ponendo delle domande. Per esempio ci si può interrogare sul perchè di un certo gioco, come è iniziato, perchè si è interrotto, favorendo così la capacità dei genitori di sviluppare una sorta di identificazione con il terapeuta, che possa permettere loro di non sentirsi estromessi dal rapporto con il loro figlio, e di comprendere cosa avviene nella consultazione. Durante il colloquio si valuta insieme la situazione e come proseguire. E’ possibile che dalla consultazione scaturisca la domanda di una terapia per i genitori e/o per il figlio. Può accadere però che la famiglia non sia ancora pronta ad accogliere il progetto di una psicoterapia, oppure che il disagio, non si sia ancora strutturato in una psicopatoplogia conclamata ma che mantenga una certa mobilità ( come per esempio nei disturbi reattivi). In tali casi è opportuno proporre di prolungare la consultazione partecipata e il terapeuta continuerà a lavorare alternando le sedute con figlio e i genitori alle sedute con i soli genitori e anche, se possibile, con il solo figlio. Quando la consultazione diviene dunque prolungata? La consultazione diviene una Consultazione partecipata prolungata per creare le condizioni di una successiva psicoterapia per il figlio e/ o per i genitori oppure per svolgere, attraverso il chiarimento del fraintendimento inconscio nella relazione genitori figli, un’azione preventiva nei confronti dello sviluppo di una più severa psicopatologia.
Per esempio il gioco del negozio delle scarpe “ scoppiate ” ripetutamente proposto da una bimba di 4 anni, in una sequenza di sedute in presenza della mamma, ha permesso di iniziare ad avvicinare un nucleo simbiotico nella relazione mamma figlia, che rendeva la coppia particolarmente tirannica e rabbiosa, preparando così la strada per una successiva psicoterapia). Fraintendimenti di vario genere da parte dei genitori, mancanza di reverie, identificazione proiettive intrusive, costituiscono l’ingrediente principale dell’incomprensione verso i figli, i quali a loro volta rispondono con rimozione, scissione, ricerca di una identità adesiva, identificazione introiettiva patologica e disturbi vari a livello del super-Io e dell’Io ideale.
Anche la seduta di restituzione al figlio, che conclude la prima serie di incontri della Consultazione partecipata avviene in presenza dei genitori. Durante questa seduta sarà espresso il progetto terapeutico al figlio, naturalmente secondo modalità adeguate all’età e alla condizione psicologica, e si valuterà la risposta, rispettando la sua intenzionalità. ( Pedro un bimbo di 6 anni gravemente carenziato, nella seduta di restituzione, accompagna le parole della terapeuta, che propone di prolungare la consultazione con un gioco dove alcune macchinine che hanno subito gravi incidenti devono essere riparate. Coinvolge anche mamma, papà e terapeuta nel gioco, quasi ad indicare la necessità di un lavoro comune. E’ stato necessario lavorare per un certo periodo con mamma e papà e bambino, prima di pensare ad una psicoterapia ).
La Consultazione partecipata, ha suscitato interesse in alcuni colleghi della S.P.I che lavorano con bambini e in alcuni terapeuti esterni con formazione psicoanalitica, e ha trovato uno spazio di studio, ricerca e applicazione presso alcune sedi universitarie (Torino, Brescia, Venezia, Bologna) e presso alcune strutture per la prevenzione e la cura in età evolutiva. Nel Training S.P.I (sezione milanese ) dal 2010 Dina Vallino tiene per i candidati seminari sulla Consultazione partecipata. Durante il corso di Perfezionamento S.P.I. per l’Analisi di Bambini e Adolescenti, nel 2008, è stato possibile presentare e discutere casi riguardanti l’argomento. L’interesse di molti colleghi ha permesso di costituire un gruppo di ricerca e applicazione intorno a questo lavoro, di approfondire ed esplorare la metodologia stessa e il campo di applicazione.
Fonte:
http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3818&catid=552&Itemid=921
BIBLIOGRAFIA
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ATTI-Convegno Osservatorio del C.M.P., Milano13 Aprile 2013. Psicoanalisti e genitori: come lavorare insieme. Dina Vallino. Incontrare l’inconscio di bambini e genitori con il gioco e con l’osservazione. Proposte della consultazione partecipata prolungata.